L’ambito territoriale ecosistemico ‘Parco dei Colli di Bergamo’

La legge regionale n. 28/2016, infatti, prevede la riorganizzazione del sistema di gestione e tutela delle aree regionali protette e delle altre forme di protezione del territorio presenti in Lombardia, pur mantenendo inalterati gli attuali regimi di tutela. Il fine è quello di favorire un dialogo maggiore tra le varie aree protette attraverso l’aggregazione dei soggetti gestori, una migliore gestione delle risorse e l’integrazione dei diversi strumenti di pianificazione.

Il Parco dei Colli di Bergamo, in tale senso, ha definito un programma di razionalizzazione e riorganizzazione del sistema delle aree protette ricadenti all’interno dell’ambito territoriale ecosistemico (A.T.E.) di propria competenza.

All’interno dell’A.T.E. di competenza del Parco dei Colli di Bergamo sono presenti le seguenti aree tutelate: riserva naturale di Valpredina, gestita dal W.W.F.; monumento naturale Valle del Brunone, gestito dalla Comunità Montana Valle Imagna; P.L.I.S. del Monte Bastia e del Roccolo; P.L.I.S. delle Valli d’Argon; P.L.I.S. del Malmera, dei Montecchi e del Colle degli Angeli; P.L.I.S. del Monte Canto e del Bedesco; P.L.I.S.Naturalserio e Piazzo; P.L.I.S. Agricolo Ecologico Madonna dei Campi; P.L.I.S. Basso corso del fiume Brembo. Fanno inoltre parte dell’A.T.E. tre siti di Rete natura 2000, precisamente le zone speciali di conservazione IT2060011 ‘Canto Alto e Valle del Giongo’; IT2060012 ‘Boschi di Astino e dell’Allegrezza’ e IT2060016 ‘Valpredina’. Mentre le prime due ricadono all’interno del Parco dei Colli di Bergamo, la terza coincide con l’omonima riserva naturale.

Verso un programma condiviso di razionalizzazione delle esperienze

Il programma di razionalizzazione definito per l’A.T.E.‘Parco dei Colli di Bergamo’ parte dal presupposto che i parchi regionali rappresentano veri e propri laboratori/agenzie territoriali per la gestione e la rigenerazione, alla scala vasta, del paesaggio e dell’ambiente e che, proprio grazie a tale funzione, possono fungere da modello per l’attivazione di processi virtuosi a livello sovralocale, funzionali da un lato a salvaguardare con più efficacia la diversità biologica, dall’altro a promuovere forme innovative e qualitativamente ‘elevate’ di sviluppo economico, sociale e ambientale.

L’intenso processo di sviluppo del territorio lombardo ha reso evidente la necessità di attivare politiche non più confinabili all’interno dei singoli perimetri delle aree protette quanto piuttosto ‘estese’ a una visione di scala più ampia e integrate da processi di governance territoriale che superino le sfere di stretta competenza locale, aprendosi a dialoghi di più ampio spettro, interdisciplinari e di convergenza di più intenti e strategie.

In tal senso, il Parco dei Colli di Bergamo intende condividere l’esperienza maturata in oltre quarant’anni di attività ed esplicitata in una moltitudine di servizi che spaziano dalla tutela e gestione degli ecosistemi, all’educazione ambientale, dalla vigilanza alla fruizione e all’eco-turismo, senza dimenticare il prezioso ruolo svolto per il sostegno e la promozione delle aziende che operano all’interno del parco e a tutte le attività direttamente connesse alle relazioni interistituzionali, alle partnership e alle possibilità di accesso a specifici finanziamenti tramite bandi.

Una nuova organizzazione per l’A.T.E. ‘Parco dei Colli di Bergamo’

All’interno dell’A.T.E. ‘Parco dei Colli di Bergamo’ sono compresi differenti istituti per la tutela di territorio, natura, ambiente e paesaggio. Proprio in ragione di tali diversità, non tutte le aree protette comprese nell’A.T.E. vengono coinvolte nel progetto di riorganizzazione. Ad esempio, con la riserva naturale di Valpredina, che ospita il Centro Recupero Animali Selvatici, verranno definiti specifici accordi di cooperazione a ulteriore rafforzamento delle forme di collaborazione già in essere.

Con il monumento naturale Valle del Brunone è stata sottoscritta una convenzione funzionale ad avviare l’integrazione con il Parco dei Colli di Bergamo, prevedendo sin da subito un rafforzamento delle proposte di educazione ambientale.

In merito ai rapporti con i P.L.I.S., per alcuni di essi (‘Naturalserio e Piazzo’, ‘del Monte Bastia e del Roccolo’, ‘del Monte Canto e Bedesco’, ‘del Basso corso del fiume Brembo’) sono state sottoscritte apposite convenzioni anche se, per il P.L.I.S.‘del Monte Canto e Bedesco’, non tutti i Comuni appartenenti all’area protetta hanno sottoscritto e approvato la convenzione condivisa con il Parco dei Colli di Bergamo.

Per il P.L.I.S. Parco Agricolo Ecologico Madonna dei Campi, che interessa un’area agricola di valore ambientale e paesaggistico a cavallo tra il territorio comunale di Bergamo e quello di Stezzano, la prospettiva è duplice: per le aree ricadenti all’interno del capoluogo orobico è stato attivato il procedimento finalizzato alla loro aggregazione al Parco dei Colli di Bergamo mentre la gestione dei territori appartenenti al Comune di Stezzano è oggetto di specifico convenzionamento con il Parco dei Colli di Bergamo, come per gli altri parchi locali richiamati.

Da ultimo, i P.L.I.S. ‘delle Valli d’Argon’ e ‘del Malmera, dei Montecchi e del Colle degli Angeli’, pur rientrando nell’A.T.E., hanno scelto di conservare una loro autonomia amministrativa e gestionale.

 

Parco regionale dei Colli di Bergamo

Il Parco regionale dei Colli di Bergamo è stato istituito con legge regionale 18 agosto 1977, n. 36 ed è, per anzianità, il quarto parco regionale lombardo istituito dopo quelli della Valle del Ticino (1974), Nord Milano (1975) e delle Groane (1976).

Si estende in un’area ricadente nel territoriodi dieci comuni (Almè, Bergamo, Mozzo, Paladina, Ponteranica, Ranica, Sorisole, Torre Bordone,Valbrembo e Villa d’Almè) e ha, sin dalla sua istituzione, operato in modo da coniugare i delicati equilibri che intercorrono tra le variegate esigenze dell’uomo che su questo territorio vive e lavora con la tutela e la valorizzazione della natura e del paesaggio.

Il territorio del parco, esteso su circa 4.700 ettari di superficie, dalle pendici delle Prealpiorobiche all’alta pianura, si caratterizza per una spiccata varietà territoriale e paesaggistica,comprendendo nuclei storici, centri urbani e suburbani, aree agricole e zone boscate. Tuttavia, il ruolo storicamente esercitato dall’uomo in questo contesto territoriale è stato ed è tuttora di straordinariaimportanza. È stata propriola secolare presenza antropica a plasmare questi luoghi, creando un’ampia varietà di ambientiseminaturali ricchi di biodiversità, quali versanti coltivati a balze o terrazzamenti, orti, frutteti, siepi, filari,pascoli e prati da sfalcio.

Pur estendendosi in un’area fortemente antropizzata, il parco conserva ambienti connotati da elementinaturalistici di notevole pregio;il suo territorio, infatti, include una porzionecollinare in senso stretto (il sistema dei Colli di Bergamo) e un settore di collina ‘alta’, già in parte prealpina (le pendici del Canto Alto e dei rilievi adiacenti) e ambiti pianeggianti.

Se il sistema dei Colli di Bergamo presenta pendii generalmente poco marcati e favorevoli condizioniambientali, soprattutto nei versanti esposti a meridione, favorendo, sin dall’antichità, la presenza di insediamenti umani, lepropaggini collinari distribuite alla base del Canto Alto e della Maresana, che digradanodolcemente verso le due valli della Quisa e della Morla, rappresentano uno scenario completamente diverso che definisce una vera e propria ‘valle’ a raccordo con gli sbocchi delle vicine valli Seriana e Brembana.

Il tratto pianeggiante presso Mozzo e Sombreno, che digrada impercettibilmente verso il terrazzamento delFiume Brembo rappresenta, infine, il raccordo con il contesto pianeggiante padano.

Queste caratteristiche fisiche, modellate nel corso dei secoli dal susseguirsi delle attivitàdell’uomo che si sono espletate con intensità differenti a seconda dei luoghi stessi, determinanopaesaggi estremamente compositidove vengono ad accostarsi gradi diversi di antropizzazione. Entro distanze relativamente contenute, si passa infatti dagli spazi urbanizzati a quelli dove è la presenza della natura ad esserepreponderante, attraverso diverse soglie intermedie caratterizzate da plurimi usi del suolo.

L’area del parco, similmente a quanto accaduto nella restante area urbana di Bergamo e corona, è stata interessata a partire dallaseconda metà del secolo scorso da intensissime trasformazioni territoriali che hanno ridotto gli spaziaperti, saldato le aree urbanizzate in fregio alle principali infrastrutture viarie e fortementeframmentato il tessuto agricolo. Nonostante ciò il territorio del parco conserva un prezioso patrimonio di biodiversità e costituisce una delle poche aree di porosità e connessione tra il fronteprealpino e la dorsale dei Colli di Bergamo.

Se i boschi di latifoglie costituiscono l’habitat più rappresentativo del Parco con oltre 2.300 ettari disuperficie, gli spazi agricoli, in particolare nei settori planiziali, concorrono in maniera preponderante allacomposizione della matrice territoriale del parco, occupando la quasi totalità delle areenon interessate dall’urbanizzato e dalle infrastrutture.Nella zona collinare prealpina prevalgono le attività zootecniche e vitivinicole con una buona componente di agriturismo mentre nel settore dei Colli di Bergamo la composizione delle attività èpiù complessa, coinvolgendo praticamente tutte le tipologie di attività e con una rappresentativa componente di orticoltura, frutticoltura, l florovivaismo e cerealicoltura.

All’intero del parco sono stati identificati due siti della rete europea Natura 2000; si tratta delle Zone Speciali di Conservazione IT 2060011 “Canto Alto e Valle del Giongo” e IT 2060012 “Boschi dell’Astino e dell’Allegrezza” a dimostrazione ulteriore dell’elevato interesse naturalistico di questo parco.

Sotto il profilo paesaggistico il territorio del parco si inserisce nella fascia delle colline pedemontane e si caratterizza per la presenza di paesaggi collinari agrari organizzati in sequenza “a fasce” in cui emergono: le geometrie dei terrazzamenti con i caratteristici muri secchi nelle parti più acclivi, o dei ronchi e dei ciglioni erbosi nelle parti meno impegnative; l’organizzazione dei campi scandita dalle trame idrografiche (seriole, canali e rogge) in particolare nelle aree sub-pianeggianti, spesso segnate dai filari e delle siepi; la struttura dei percorsi organizzati a “rittochino” (lungo la linee di massima pendenza) o a tornanti (i torni) o a gradoni (le scalette), sui versanti.

In generale, le sequenze paesistiche si articolano in relazione all’esposizione:sui i versanti ben esposti sono caratterizzate da coltivazioni (un tempo segnate dall’alternanza della vite, dei gelsi, dei prati in un sistema di colture promiscue) alle quali succedono in quota fasce le boscatee gli insediamenti, posti per lo più in una ristretta fascia di nuclei di mezzacosta tra bosco e coltivi oppure costituiti da ville e cascinali isolati.

In questa eccezionale organizzazione paesaggistica generale dove in connubio uomo-natura è intensissimo emergono almeno tre contesti di straordinaria importanza: il primo è la Valle di Astino, dove predominano versanti agricoli organizzati a terrazzi con cascinali e ville localizzate sui percorsi dei Torni e dove si struttura una piana agricola il cui centro organizzativo è l’ex monastero vallombrosano di Astino, legato ad un sistema di cascinali ai piedi della collina e al bosco posto in due settori a diversa esposizione, entrambi di elevato valore naturalistico.

Il secondo è Valmarina, dove vi è la presenza di un paesaggio di notevole valore storico-culturale, paesistico e identitario distinto in vallecole boscate dominate dal promontorio della Bastia e strutturato attorno al fulcro visivo e organizzativo dell’ex Monastero benedettino femminile di Valmarina, vero punto nodale dell’intera conca sistematacon terrazzamenti a coltivi e vigneti sui versanti a solatìo e aree boscate sul versante a bacìo.

Il terzo, e più iconico di tutti è il contesto di Città Alta, un paesaggio unico di elevato valore simbolico e culturale a comprendere a città sul colle che ha strutturato l’intero territorio bergamasco.Oltre le mura si presenta un paesaggio rurale terrazzato che accompagna la morfologia del colle: a sud, con il sistema dei Torni su cui si collocano ville e cascinali (modificate nel tempo da luoghi di villeggiatura e/o di produzione), con lepertinenze agricole organizzate a fasce lungo le curve di livello, in parte terrazzate, e utilizzate a orti, frutteti, vigne alternati a prati, e/o a parco, più o meno in stretto rapporto con il sistema dei cascinali di pianura, oggi in parte scomparsi nell’area ormai completamente urbanizzata. Il versante posto a nord presenta invece un sistema paesaggistico completamente differente, strutturato in vallecole più strette, in parte boscate, con insediamenti a pedemonte, a mezza costa o su crinali, e con un’organizzazione agricola a trame più ampie e in larga misura gestite a prato, se non in alcuni settori di versante a terrazzamenti.

P.L.I.S. del Monte Bastia e del Roccolo

Appartenente ai comuni di Scanzorosciate e Villa di Serio, il P.L.I.S. del Monte Bastia e del Roccolo è stato riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel febbraio 2011.

Le finalità istitutive di questo parco locale rientrano in una politica di difesa e valorizzazione del patrimonio naturale e paesistico,costituito prevalentemente da ambienti collinari e piccole valli. Proprio la tutela di tali contesti diviene il presupposto per il perseguimento di obiettivi di conservazione e di valorizzazionedegli ambienti naturali, dei percorsi, delle architetture religiose e civili e, ingenerale, del paesaggio rurale risultato dell’azione secolare dell’uomo.

Il parco si estende in un settore del sistema collinare orientale dominato dai rilievi del Monte Bastia e del Monte Roccolo; si tratta dei primi rialzi che separano la Valle Serianadalla Valle Cavallina, a loro volta accompagnati da morfologie articolate che generano depressioni e avvallamenti come per la Valle Serradesca, caratterizzata da dolci pendii vitati e la valle di Gavarno, assai più incisa della precedente, che immette al grande solco vallivo seriano.

Nel contesto geografico bergamasco questo parco rappresentadunque un tassello importantedi quell’ambiente collinare che preannuncia il sistema delle Prealpi orobiche e che si caratterizza per una netta distinzione tra versanti esposti a solatìo, maggiormente insediati e interessati da estesi vitigni, e quelli rivolti a bacìo dove prevalgono ambienti boscati.

Il paesaggio del parco è fortemente connotato dalla presenza dell’uomo che nel corso dei secoli lo ha costantemente ‘plasmato’ in funzione delle proprie necessità; la facile accessibilità dalla pianura e dalle vicine valli prealpine nonché le favorevoli esposizioni dei versanti hanno favorito una secolare presenza antropica e un costante presidio di questo territorio, testimoniati sia dalla presenza di antichi edifici rurali, di ville, di roccoli sia dall’esistenza di tracciati viari di vecchia data che supportavano gli spostamenti lungo i versanti, sui crinali e nelle valli. Tutto ciò ha contribuito a consolidare una vera e propria rete di insediamenti tuttora facilmente identificabile nonostante l’elevata urbanizzazione degli ultimi decenni.

I dolci pendii così modellati del Monte Bastia e del Monte Roccolo accolgono già a metà Ottocento ville e case colonicheintervallate da vigneti e frutteti a testimonianza di un uso storico e benconsolidato delle tecniche agrarie. Ma anche gli ambiti a fondovalle, sin dal Quattrocento e per i secoli a venire, hanno subito trasformazioni significative che hanno continuamente trasformato gli antichi paesaggi allo scopo di recuperare al bosco terreni da coltivare o per il pascolo.

Questo paesaggio agricolo che cingeva i nuclei storici, benconservato sino al secondo dopoguerra, è stato sensibilmente modificato in settant’anni di costante urbanizzazione che ha come cinto d’assedio le aree collinari dilatandosi senza freni nei territori pianeggianti di prossimità.

Nelle valli interne al parco questa grande pressione insediativa appare distante, quasi respinta dai silenti paesaggi che qui ancora conservano una spiccata vocazione rurale. È il caso della Valle Serradesca, solcata dal Torrente Zerra o della meno estesa Valle Capla che palesano al visitatore paesaggi dal sapore antico e scorci di rara bellezza.

Tra gli elementi che caratterizzano i paesaggi collinari del parco, un ruolo significativo è svolto dai roccoli che da secoli appartengono allatradizione culturale e sociale della Bergamasca. La peculiare concentrazione di strutture per lacattura degli uccelli, che appartengono allafamiglia delle Uccellande, attribuisce unparticolare valore al contesto in esame in quanto la caccia attraverso i roccoli, diffusa nel territorio bergamascoalmeno sin dal Cinquecento, era legata ad una reale necessità di sussistenza.

Nel parco sono presenti una decina di roccoli, ubicati principalmente lungo la cresta del sistemacollinare che separa la ValleSeriana dalla Valle di Gavarno, luoghi maggiormente favorevoli al passo degli uccelli migratori. Il valore dei roccoli è anche legato alle strutture arboree checompongono l’uccellanda, vere e proprie architetture vegetali ed iconemi del paesaggio locale.

P.L.I.S. delle Valli d’Argon(autonomo)

Il parco locale delle Valli d’Argon interessa parte dei territori comunali di AlbanoSant’Alessandro, Cenate Sotto, San Paolo d’Argon e Torre de’Roveri ed è stato riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel marzo 2006.

Quest’area, caratterizzata dalla presenza dei Monti d’Argon, è ubicata in un contesto di transizione tra la fascia pedemontana orientale di Bergamo e la vasta stanza che costituisce lo sbocco all’alta pianura della Valle Cavallina.

Il tratto terminale di questa valle presenta una sezione particolarmente ampia, con i dolci crinali boscati del Monte San Giorgio e dei Monti d’Argon a definirne il confine occidentale e le colline di Carobbio degli Angeli a individuarne il limite orientale. Si tratta di versanti storicamente modellati dall’uomo che li ha terrazzati nei tratti meno acclivi per poter coltivare la vite e alberi da frutto.

L’area di passaggio tra monte e piano non rappresenta unicamenteuna fascia ditransizione tra la pianura e le valli alpine, ma divienecontestorelazionale tra le diverse confluenze vallive. Il parco si trova quindi al centro di un importante snodo geografico dove da sempre gli uomini hanno utilizzato il primo fronte collinare per gli spostamenti trasversalitra i centri pedemontani e le selle meno acclivi per i collegamenti tra un ambito vallivo e l’altro.

Sui versanti e i crinali dell’area collinare l’insediamento è sparso, con edificie nuclei rurali, di antica origine ubicati prevalentemente lungo i versanti a solatio e le dorsali. Icentri di riferimento, Cenate Sotto, San Paolo d’Argon, Albano Sant’Alessandro, sono invecesorti al piano in prossimità del piede dei rilievi collinari; Torre de’Roveri, centro amministrativogemmato dal vicino comune di Pedrengo è l’unico abitato collocatoin posizione relativamente elevata lungo i primirialzi collinari.

La particolare ubicazione vicina alla città, il carattere accogliente dei colli el’esposizione felice dei versanti hanno storicamente favorito la presenzaattiva dell’uomo sin dalla preistoria, peraltro testimoniata dall’antropizzazione dei versanti meglio esposticon il sorgere di case per la villeggiatura e cascine. Non secondaria la presenza del Monasterobenedettino fondato nel XI secolo a San Paolo d’Argon, il quale ha influito in maniera determinante sull’organizzazione degli assetti territoriali e, conseguentemente, paesaggistici.

Come in altri casi del sistema collinare pedemontano, anche in questa zona ai versanti esposti a solatìo, interessati in maniera più o meno estesa da terrazzamenti sui quali viene praticata la coltivazione di vite e alberi da frutta, corrispondono settori esposti a settentrione principalmente gestiti a bosco.

La prevalente presenza di ambienti rurali e seminaturali nel parco siarticola in una variegata sequenza di contesti: prati e rari campi a seminativo sul fondo dellaValle d’Albano e allo sbocco della Valle Serradesca, diffusi terrazzamenti vitati e impianti diulivi sulle prime pendici dei contrafforti collinari, boschi più o meno fitti nei quadranti più freschi o dove il suolo si faparticolarmente sottile e asciutto per l’acclività dei versanti o l’affioramento del substratoroccioso.

Va ricordato che l’ecomosaico locale èimpreziosito da edifici rurali, molti dei quali per posizione e antichità richiamano alla memoria la straordinaria ricchezza del paesaggio storico collinare lombardo.Con la dominazione veneta, specie nell’ultimo ventennio del Quattrocento e nei primidecenni del Cinquecento le cascine trovarono una rinnovata diffusione e andarono a costituirei capisaldi di quel presidio territoriale in ambiti rurali che è perdurato quasi immutato sino alsecondo dopoguerra.

 

 

P.L.I.S. del Malmera, dei Montecchi e del Colle degli Angeli(autonomo)

Il parco locale del Malmera, dei Montecchi e del Colle degli Angeli interessa parte dei territori comunali di Carobbio degli Angeli, Gorlago, Trescore Balneario e Zandobbio ed è stato riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel dicembre 2007.

Il territorio del parco, prevalentemente collinare, si caratterizza per la presenza del Torrente Malmera, nel cui corso confluiscono alcune sorgenti, e da un tratto del Fiume Cherio. I rilievi interessano la dorsale collinare che dal Monte Santo Stefano confluisce verso il Monte del Castello e da qui al Colle Lucetto e San Giovanni delle Formiche. L’area protetta si estende anche su una parte della piana tra Zandobbio e la frazione Selva e su una porzione consistente dell’anfiteatro vallivo che si apre a sud-est di Carobbio degli Angeli, al disotto del Monte Santo Stefano.

In questo contesto assume particolare rilevanza la presenza di rocce calcaree e arenarie, come ad esempio la pietra di Credaro, che ha favorito l’apertura di vari ambiti di coltivazione funzionali all’estrazione di questa pietra ornamentale ampiamente utilizzata nell’edilizia, anche storica.

I versanti collinari in favorevoli condizioni di soleggiamento sono stati interessati da imponenti opere di terrazzamento, in parte realizzate con semplici scarpate a ripe erbose ma nella maggior parte dei casi impiegando conci di pietra di Credaro e altre rocce calcaree per erigere le murature a secco che oggi connotano la qualità paesaggistica del contesto. Storicamente questi terrazzamenti sono stati coltivati a vite e, in minor misura a oliveto; tali colture continuano tutt’oggi anche se una parte dei terrazzamenti originari è stata soppressa per lasciar spazio alle sistemazioni a ritocchino che, da un lato permettono di regimare il deflusso delle acque riducendo contemporaneamente i rischi di erosione e quelli di smottamento e dall’altro facilitano le operazioni colturali facilitando l’interventi con i mezzi meccanici.

La maggior parte del parco è tuttavia interessata da superfici boscate che si estendono su buona parte dei versanti collinari, soprattutto su quelli esposti a settentrione. Più articolati i paesaggi dei fondivalle, sebbene le secolari attività agricole abbiano in gran parte cancellato i loro caratteri originari.Si conserva ancora a tratti una morfologia ‘mossa’ con piccoli dossi e foppe, anche se in prevalenza i terreni sono stati livellati per favorire una maggiore produttività agronomica. In questi ambiti non è infrequente la presenza di siepi campestri e filari arborei che contribuiscono ad arricchire la scenografia paesaggistica.

Insediato sin dall’antichità, come testimoniano i numerosi ritrovamenti di insediamenti preistorici a Carobbio degli Angeli, Gorlago e Trescore Balneario, e i reperti di epoca romana, l’area del parco conserva tutt’oggi preziosi manufatti sia rurali (essenzialmente cascine, distribuite sia sui territori planiziali che lungo i versanti meglio esposti) che produttivi (fornaci). A questi si affiancano architetture maggiormente auliche come il palazzo D’Arcais Zanchi, noto come ‘Castello degli Angeli’, la cui attestazione risale al 1039 e che dal 1475 venne riconvertito nel convento carmelitano di Santa Maria degli Angeli. Oppure il santuario di San Giovanni delle Formiche, la cui attestazione risale all’anno 830, e che venne presumibilmente edificata in luogo di un tempietto romano.

 

P.L.I.S. del Monte Canto e del Bedesco

Il parco locale del Monte Canto e del Bedesco interessa parte dei territori comunali di Ambivere, Carvico, Chignolo d’Isola, Mapello, Pontida, Solza, Sotto il Monte Giovanni XXIII, Terno d’Isola, Villa d’Adda ed è stato riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel settembre 2003.

Il territorio del parco si estende lungo il pianalto a morfologia leggermente ondulata del Bedesco il rilievo del Monte Canto, interessando una consistente porzione del territorio dell’Isola Bergamasca. Si tratta di due ambiti molto diversi fra loro.

Il Monte Canto è un monte orfano con escursione altimetrica di circa 500 m, separato dal resto delle Prealpi Orobiche dal solco della Valle San Martino. I due versanti del rilievo si differenziano nettamente sia per l’esposizione prevalente che per l’acclività dominante, minore lungo il versante rivolto a sud, maggiore in quello esposto a nord. Entrambi i versanti ospitano vallecole e terrazzamenti perlopiù legati alla viticoltura. Il settore occidentale del versante settentrionale presenta un’ampia valle a fondo piatto (il ‘vallone’) orientata da sud-ovest verso nord-est.

L’area del Bedesco è invece caratterizzata dalla presenza del terrazzo di Chignolo d’Isola, dalla caratteristica planimetria triangolare; si estende a meridione del Monte Canto, elevandosi per dieci-quindici metri rispetto al livello fondamentale della pianura. Questo terrazzo presenta vallecole profondamente incise, più numerose nella porzione settentrionale e con orientamento da nord-ovest a sud-est.I corsi d’acqua hanno tutti regime torrentizio e appartengono principalmente al bacino idrografico del Brembo; il Torrente Sonnaè l’unico diretto tributario dell’Adda.

Le morfologie sono dovute a differenti processi morfogenetici: quelli glaciali e fluvioglaciali presentano un’importanza preminente. Le lingue terminali del ghiacciaio lariano, infatti, urtando contro il versante nord-ovest del Monte Canto si diramarono defluendo sia nella Valle San Martino che in quella dell’Adda. Il loro percorso è testimoniato dalla morena di San Giacomo di Pontida, da due terrazzi glaciali sovrapposti e sub-pianeggianti presso Odiago (Pontida), dalla presenza di massi erratici, dal vallone che rappresenta una piccola valle sospesa sul versante nord del Monte dei Frati, da due cerchie moreniche sul versante meridionale presso Carvico (la più interna attribuita alla glaciazione würmiana, quella più esterna, oggi completamente urbanizzata, alla glaciazione rissiana) e da una serie di terrazzi nei pressi di Villa d’Adda.

Sotto il profilo della vegetazione, la dorsale del Monte Canto è quasi interamente ricoperta da formazioni forestali che si interrompono solo in corrispondenza degli insediamenti residenziali e di limitate aree agricole costituite da vigneti, prati stabili, talora utilizzati anche come pascolo, e da coltivi cerealicoli (principalmente mais).Il versante settentrionale è interessato da boschi nei quali il castagno appare largamente dominante, mentre quello meridionale è caratterizzato da un’abbondante presenza di robinia e lembi di querceto misto a rovere, roverella e cerro.

Tutto il territorio del parco è punteggiato da una serie di edifici rurali; l’attività agricola, fin dai secoli XIV e XV, era infatti organizzata in cascinali di una certa dimensione, raggruppati nei centri abitati o in piccoli gruppi isolati. Le cascine erano spesso fortificate, chiuse verso l’esterno da ampi e spessi muri e, in alcuni casi, dotate di torri di difesa.

A margine delle strade di costa vennero edificate abitazioni, dando origine a piccoli aggregati. Il nucleo di Canto, tra questi, ha rivestito una particolare importanza nei secoli passati per la sua posizione baricentrica fra l’Abbazia di San Giacomo in Pontida e quella di Sant’Egidio in Fontanella. Oggi l’insediamento si presenta abbandonato e fortemente degradato.

Tra i principali edifici di interesse storico si ricordano il complesso abbaziale di Sant’Egidio di fontanella con la splendida chiesa romanica, il santuario della Madonna del Castello di Ambivere, il santuario della Madonna di Prada a Mapello, la chiesetta di Santa Barbara nei pressi della vetta del Monte Canto, la Torre di San Giovanni a Sotto il Monte, la chiesa di Tassodine, i resti della chiesa di San Tomé di Carvico e numerosi altri edifici civili e religiosi.

P.L.I.S.Naturalserio e Piazzo

Il parco locale Naturaleserio, che comprende parte dei territori comunali di Alzano Lombardo, Nembro, Pradalunga e Ranica è stato riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel marzo 2009; il parco locale di Piazzo, interessante una piccola porzione del territorio comunale di Albino è stato invece riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel novembre 2009 e ampliato a ricomprendere parte dei territori del vicino comune di Nembro (zona di Trevasco) nel 2012. A ottobre 2018, la Provincia di Bergamo ha riconosciuto l’ampliamento del P.L.I.S. Naturalserio nei territori dei comuni di Albino e Alzano Lombardo, una limitata riduzione nel territorio di Pradalunga e la contestuale annessione del P.L.I.S. Piazzo – Trevasco.

Il territorio di Piazzo, appartenente rispettivamente ai comuni di Albino e di Nembro è situato ai piedi del Monte Cereto ed è costituito da una serie di pianori in parte boscati, in parte governati a prateria e in parte coltivati a vigneto che risalgono il versante dal fondovalle seriano. L’ambito di Trevasco, appartenente a Nembro interessa invece un consistente settore della Valle del Carso, anch’essa fortemente boscata ma caratterizzata, lungo il versante esposto a sud-ovest, dalla presenza di una serie di nuclei rurali (Palazzo, Trevasco, San Vito, Ronchi, ecc.) contornati da ambienti a prateria e in larga misura ciglionata e terrazzata.

I paesaggi di quest’area risultano fortemente caratterizzati dalla presenza dell’uomo che negli anni li ha modellati in funzione delle proprie necessità. Si riconoscono, percorrendo il territorio muri a secco e tipici terrazzamenti che sono la testimonianza della passata vocazione agricola di questi luoghi. I due ambiti sono inoltre caratterizzati dalla presenza di numerose cascine collegate tra loro da percorsi in parte carrabili e in parte sterrati lungo i quali si incontrano anche alcuni manufatti tipici dell’architettura minore.

La zona di Piazzo e Trevasco è interessata da fenomeni carsici e d’erosione delle rocce, difficilmente visibili altrove con tale frequenza e bellezza; si tratta di numerosi pinnacoli conici presenti nei boschi; rocce carsiche incise a canaletti affioranti dal terreno; doline e inghiottitoi; grotte a sviluppo verticale.

Rilevanti, oltre ai complessi rurali, alcune strutture religiose come la chiesa della Santissima Trinità di Trevasco, di origine tardo-cinquecentesca e la chiesa di San Vito, attestata dalla seconda metà del XV secolo.

L’ambito originariamente interessato dal parco locale Naturalserio interessava invece alcune aree del fondovalle seriano soggette a forte pressione urbanizzativa tra Alzano Lombardo, Nembro, Pradalunga e Ranica. Con il recente ampliamento, altre porzioni di territorio di Alzano Lombardo e Albino dalle medesime caratteristiche sono entrate a far parte dell’area protetta.

Le aree coinvolte nel perimetro del parco sono localizzate principalmente lungo il Fiume Serio in quanto connotate, a tratti, ancora da un buon livello di naturalità. Oltre alle zone direttamente interessate dal fiume, l’area protetta contempla una serie di ambiti tra loro collegati, attraverso la rete dei torrenti e dei canali artificiali, al corso delSerio. Lo scopo è quello di connettere il sistema idrografico di superficie, naturale e artificiale, con il sistema del verde pubblico presente all’interno degli abitati favorendo le relazioni tra ambito urbano e i residui contesti non edificati.

Alcune aree dispongono in parte di collegamenti, soprattutto piste ciclabili o ciclopedonali, con il sistema del verde urbano dei singoli comuni e rappresentano un’importante opportunità per rispondere ai bisogni di loisir espressi dalla popolazione.

 

P.L.I.S. Agricolo Ecologico Madonna dei Campi

Il parco locale Agricolo Ecologico Madonna dei Campi comprende parte dei territori comunali di Bergamo e Stezzano ed è stato riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel giugno 2011.

L’area interessata a parco è situata all’interno della fascia periurbana sud-occidentale di Bergamo, in un territorio ancora a forte connotazione agricola e non privo di elementi significativi del paesaggio rurale tipico dell’alta pianura bergamasca.

L’area, pur risultando alquanto omogenea dal punto di vista dell’utilizzo dei suoli, appare frammentata in quattro nuclei di diversa estensione, separati gli uni dagli altri da importanti infrastrutture quali l’asse interurbano di Bergamo, l’autostrada A4, la strada statale n. 42 del Tonale e della Mendola e l’asse ferroviario Bergamo-Treviglio.

Sotto il profilo storico, il parco è circondato dai nuclei antichi di Colognola al Piano e Grumello del Piano, borghi rurali fortificati di origine medievale, e dai centri di Azzano San Paolo e di Stezzano.

Le aree comprese nel parco sono perlopiù adibite ad agricoltura meccanizzata (mais e seminativi da foraggio), con scarsa presenza di vegetazione arborea e arbustiva, principalmente localizzata nelle formazioni ripariali lungo i corsi d’acqua e, seppure in modo discontinuo, a livello delle connessioni campestri e stradali formando filari e siepi ai bordi dei percorsi.Sotto il profilo naturalistico, l’area si connota quindi per la presenza di una componente agricola significativa che, oltre a segnare nel corso della storia la struttura del territorio, assume oggi, nelle aree a forte densità, un ruolo prioritario quale elemento di ricomposizione ecologica e paesaggistica capace di mitigare l’effetto omologante delle dinamiche urbane.

Rilevanti nel contesto del parco il corso del Torrente Morletta (l’antico corso del Torrente Morla) con consistenti tratti delle scarpate morfologiche laterali ancora chiaramente visibili, ma è bene evidente anche il corso della Roggia Morlanacosì come altri canali irrigui di minore dimensione oltre alla parcellizzazione agricola che richiama a tratti l’antica orditura delle centuriazioni romane.

Nell’area appartenente al comune di Stezzano, oltre al già richiamato corso del Torrente Morletta e ad un equipaggiamento vegetazionale interpoderale maggiormente strutturato e continuo è da segnalare il santuario della Madonna dei Campi, la cui storia risale al XII secolo, quando nelle campagne a ovest di Stezzano, a circa due chilometri dal centro del paese, era stata edificata una edicola in onore della Madre di Dio. A seguito di eventi prodigiosi, quali l’apparizione della Vergine Maria, tra il 1586 e il 1866 venne innalzato un santuario, poi ampliato alle attuali forme sul finire dell’Ottocento.

Nel territorio del parco appartenente al comune di Bergamo, nel 2019 sono stati realizzati due significativi interventi di potenziamento ecologico: un frutteto al margine meridionale dei Colognola al Piano e un’area umida contornata da un nuovo bosco presso via San Giovanni Campi a Grumello del Piano, nell’ambito di un progetto co-finanziato da Fondazione Cariplo all’interno del Bando Comunità resilienti.

Per il territorio del parco ricadente entro i confini comunali di Bergamo (che assomma a complessivi 257,9 ha) è stato avviato il processo di accorpamento al Parco dei Colli di Bergamo, preceduto da un ampliamento del parco locale stesso di circa 50 ha. La riperimetrazione del parco locale ha escluso alcune aree marginali interessate da trasformazioni urbanistiche e l’inclusione di ambiti agricoli liberi da sottoporre a tutela.

L’inserimento delle aree del parco locale all’interno del parco regionale dei Colli di Bergamo ha l’obiettivo di incrementare e rafforzare il livello di protezione di tale ambito naturale, favorendo al contempo la fruizione sociale dell’ambiente, riqualificare il territorio, migliorando la qualità di vita degli abitanti e implementando il tema della sostenibilità ambientale in ambito urbano.

 

P.L.I.S. del Basso corso del Fiume Brembo

Il parco locale del basso corso del Fiume Brembo comprende parte dei territori comunali di Bonate Sotto, Madone, Filago, Dalmine, Boltiere, Osio Sopra e Osio Sotto ed è stato riconosciuto dalla Provincia di Bergamo nel febbraio 2005.

Comprende un tratto dell’ampia valle planiziale del Fiume Brembo, definita da ben visibili scarpate laterali che scendono ripide verso il fondovalle. Queste scarpate sono per lunghi tratti interrotte da terrazzi morfologici, a testimonianza delle antiche fasi alluvionali, successive al termine delle glaciazioni quaternarie; la dinamica fluviale ha permesso in seguito al corso d’acqua di abbassare sempre più il proprio letto fino alle attuali quote.

L’energica azione erosiva del fiume ha quindi fatto emergere sul fondo e sui lati della valle parte degli antichi depositi fluvioglaciali ed alluvionali che costituiscono una successione potente alcune centinaia di metri. Le successioni alluvionali più antiche hanno quindi subìto un processo di cementazione ad opera delle acque in esse circolanti, dando origine ai depositi conglomeratici noti con il termine di “ceppo”.

Questi affioramenti conglomeratici hanno esercitato un ruolo fondamentale nel provocare strettoie ad alta resistenza (forre di Briolo-Ponte S. Pietro e di Marne-Brembate), dove il fiume per poter defluire ha dovuto aprirsi varchi strettissimi. Nei tratti compresi tra le forre, dove il ceppo non compare, il fiume ha invece potuto esprimere la sua dinamica su aree più ampie e l’attività erosiva si è svolta a scapito dei depositi alluvionali da esso precedentemente abbandonati.

All’interno della valle planiziale sono presenti anche corsi d’acqua artificiali; la costruzione di rogge e canali si è resa necessaria per lo sfruttamento delle acque del Brembo a scopo irriguo e per il funzionamento di fabbriche ed opifici. Le derivazioni dal Brembo sono tuttavia limitate alle rogge CurninoCeresino, Brembilla e alle ‘Trevigliesi’ in sponda idrografica sinistra e alla Roggia Masnada in quella opposta in quanto la profondità dell’alveo fluviale del Brembo per lunghi tratti non consente di intercettarne le acque e convogliarle in alvei artificiali.

Dal punto di vista naturalistico l’ambito del parco presenta una notevole varietà di paesaggi vegetali. Una consistente porzione di territorio è a vocazione agricola, essendo costituita da tessere soggette sia a colture cerealicole che a prati stabili periodicamente sfalciati per la produzione di foraggio. Gli elementi del reticolo idrografico sono accompagnati, per ampi tratti, da cortine e filari arborei, che spesso costituiscono i corridoi verdi di maggior pregio delle aree urbane e periurbane.

Nell’ampio alveo del fiume, laddove scorre a rami intrecciati, sono presenti spazi aperti detti ‘magredi’, costituiti da formazioni erbacee particolarmente importanti dal punto di vista naturalistico, insediatesi su substrati ghiaiosi e sabbiosi. Rilevante anche la presenza di rovari, originati dal secolare lavoro di spietramento dei campi; i sassi raccolti dal terreno dopo le arature venivano accumulati ai margini dei coltivi dando origine a rilevanti depositi di ghiaie, larghi alcuni metri e lunghi diverse decine su cui è instaurata una vegetazione adatta a condizioni di aridità e termofilia, creando lunghi e caratteristici corridoi vegetazionali.Lungo le scarpate morfologiche predomina infine una vegetazione termofila tipica di suoli tendenzialmente asciutti mentre le rimanenti aree boscate registrano una forte presenza di robinia.

All’intero del parco sono numerosi i beni storico-culturali degni di menzione: gli antichi Molini di Bonate Sotto; il complesso romanico di Santa Giulia; la chiesa di San Pantaleone martire a Madone, il complesso produttivo della Rasica a Osio Sopra, il castello trecentesco e la chiesa romanica di San Bartolomeo a Marne, i resti dell’antico Ponte Corvo, sempre a Marne oltre a numerose cascine che punteggiano la vallata fluviale.

 

Riserva Naturale di Valpredina

La creazione della Riserva Naturale di Valpredina (Cenate Sopra) origina dall’iniziativa dei coniugi Enzo e Lucia Bardoneschi che nel 1983 donarono all’Associazione Italiana per il World Wildlife Fund l’intera loro proprietà ubicata lungo le pendici meridionali del Monte Misma affinché ne facesse un luogo di protezione dell’ambiente, dell’educazione, istruzione e ricerca scientifica. Gli originari 37 ettari di territorio oggetto del lascito testamentario sono in seguito stati ampliati a 50 ettari grazie all’acquisto di ulteriori terreni.

La Valpredina (valle delle pietre), che prende il nome dall’antica attività di estrazione della pietra cote (una pietra dura, ricca in silice, assai utilizzata in passato per affilare lame e ferri da taglio), è un tassello di natura tra i più intatti delle Prealpi bergamasche ed è costituita prevalentemente da boschi misti a farnia, orniello e castagno, inframezzati da coste rocciose e coltivi, e percorsa dal torrente Predina.

La riserva naturalepresenta un excursus altimetrico rilevante, compreso tra quota 380 m e circa 1.100 m. La porzione inferiore è connotata da numerosi terrazzamenti originati dai disboscamenti avviati a partire dal XII secolo a cui si associavano in genere opere di modellamento dei versanti per favorire le coltivazioni e il pascolo.

Sotto il profilo naturalistico, la comunità vegetale più caratteristica e diffusa è il bosco di latifoglie mesofile con elementi termofili che si estende da Ca’ Pessina fin sotto la vetta del Monte Misma. I boschi presenti lungo versanti esposti a sud contemplano invece specie quali roverella, orniello e carpino nero;nella zona di Ca’ Pustì prevalgono invece i castagni, introdotti dall’uomo.

La composizione del sottobosco varia a seconda delle condizioni edafiche e di esposizione dei suoli; in generale è abbastanza facile osservare il pungitopo, il tamaro comune, la pervinca, gli ellebori e alcune orchidee, come negli habitat sommitali del massiccio del Monte Misma dove sono presenti formazioni erbose secche di origine antropicasoggette a sfalci e pascolamento nel passato.

Relativamente ai coltivi, in passato era molto diffusa la viticoltura, oggi sensibilmente ridotta in termini di superficie e in parte sostituita dagli oliveti, messi a dimora da mezzo secolo e ottimamente adattatisi alle temperature particolarmente miti del luogo.

All’interno della Riserva Naturale è stata realizzata un’area didattica dotata di una serie di percorsi a tema e di laboratori didattici presso la struttura di Ca’ Pessina. La riserva naturale ospita anche il C.R.A.S. (Centro Recupero Animali Selvatici), una struttura appositamente realizzata dal W.W.F. Italia allo scopo di recuperare animali selvatici ferito o in difficoltà al fine di prestare loro le necessarie cure e quindi rimetterli in libertà.

Nel gennaio 2006 è entrata in funzione una azienda agricola funzionale alla gestione della riserva naturale e che svolge attività agro-forestali e didattiche rivolte a scuole e privati, oltre a produzioni eco-consapevoli quali olio, miele, erbe officinali, saponi, nidi artificiali e bat box.

La riserva naturale è anche sito della Rete europea Natura 2000 in quanto Zona Speciale di Conservazione (ZSC) IT20600016 ‘Valpredina e Misma’.

 

Monumento Naturale della Valle Brunone

I monumenti naturali sono singoli elementi o piccole superfici dell’ambiente naturale di particolare pregio naturalistico e scientifico, ad esempio alberi, sorgenti, cascate, laghi alpini, formazioni rocciose e di ghiaccio, caverne, giacimenti minerari e fossili, affioramenti geologici, e in particolare i fenomeni geomorfologici, che devono essere conservati nella loro integrità.

Vengono suddivisi in due categorie: quelli geologici, che comprendono affioramenti, formazioni erosive e carsiche, massi erratici, sorgenti e cascate, oppure in quelli botanici, che comprendono invece specie vegetali, alberi caratteristici per età, bellezza e imponenza. Il monumento naturale della Valle Brunone appartiene a questa seconda categoria ed è stato approvato da Regione Lombardia nel giugno 2001.

L’area tutelata è una valletta ubicata nel comune di Berbenno, in Valle Imagna, a non molta distanza dalla frazione di fondovalle Ponte Giurino, all’interno della quale scorre il Torrente Brunone, che dà il nome al sito.

L’ambito è attraversato da un’articolata rete di strade poderali che conducono a cascinali isolati e a frazioni di mezza costa ed è caratterizzato in prevalenza da ambiti boscati con intercalate piccole praterie. La caratteristica principale di questo luogo è però dato dalla presenza di numerosi affioramenti rocciosi della formazione delle Argilliti di Riva di Solto, presenti lungo entrambi i versanti che conservano al loro interno importantissimi strati fossiliferi depositati durante il Triassico superiore in concomitanza con la crisi delle facies della piattaforma carbonatica.

Entro questa straordinaria ricchezza fossilifera è stato individuato, sin dai primi anni Settanta del secolo scorso, un giacimento paleontologico di rilevanza mondiale, denominato ‘Ponte Giurino’. Proprio qui, a partire dal 1976, sono stati rinvenuti rettili fossilizzati (Eudimorphodonranzii, Drepanosaurusunguicaudatus), pesci (Pholidophoruslatiusculus, Parapholidophorusnybelini, Pholidopleurussp., Saurichthyssp., Dapediumnoricum, Pseudodalatiasbarnstonensis, Thoracopterusmagnificus, Dandyaovalis) oltre a molluschi crostacei, insetti e allo spettacolare esemplare completo di libellula fossile Italophlebiagervasuttii.

Le principali stazioni paleontologiche si trovano a circa 26 metri al di sopra della linea di contatto con la formazione della Dolomia Principale; negli strati inferiori è stato recentemente trovato il nuovo crostaceo Pseudocoleiamazzolenii e l’esemplare giovanile di pterosauro, l’Eudimorphodonranzii, che conserva la più antica testimonianza fossile al mondo delle membrane alari. Alcuni metri più in alto è stata identificatauna successione fossilifera contenente pesci e numerose nuove specie di crostacei, alcuni dei quali, come a ad esempio il Lepidosauro drepanosaurus, possono essere considerati rari rappresentanti della vita sulle terre emerse.I reperti sono il frutto di campagne di ricerca decennali condotte della sezione di geologia e paleontologia del Civico Museo di Scienze Naturali di Bergamo.

Sotto il profilo naturalistico il monumento naturale risulta quasi integralmente ricoperto da un bosco dove possono essere rinvenute specie quali faggio, frassino maggiore, betulla, carpino bianco, ontano nero, acero montano, roverella e castagno. Tra le resinose sono presenti alcuni esemplari di pino strobo e pino nero oltre all’abete rosso, quest’ultimo oggetto di interventi di forestazione intrapresi negli anni Ottanta del secolo scorso.

L’area è anche interessata dalla presenza di antiche fonti sulfuree, oggi pressoché inattive ma che hanno rivestito una notevole importanza nel passato per la cura di alcune patologie, tanto da essere menzionate dallo scienziato ottocentesco Antonio Stoppani nella sua opera del 1876 intitolata “Il Bel Paese”.